mercoledì 17 novembre 2010

Massaggio aromaterapico


Il massaggio aromaterapico è innanzitutto un massaggio rilassante e,
in quanto tale, riequilibrante del sistema nervoso e dell'intera sfera psicofisica.
I movimenti di base seguono il corso dei fluidi linfatici donando un'immediata sensazione di leggerezza e benessere complessivo del corpo.
L'aspetto del drenaggio, fondamentale per mantenere in salute e bellezza il corpo, risulta essere importante anche sul piano energetico-psicologico, in quanto “lavorare sull'acqua” corrisponde a lavorare sulle “memorie” e quindi significa abbandonare e lasciare fluire le emozioni, i ricordi, gli attaccamenti, “ripulire” e rinnovare il nostro “essere” nella sua totalità.

L'azione degli olii essenziali integra il risultato del massaggio rendendolo
terapeutico” sia sul piano fisico – l'o.e. possiede infatti molteplici proprietà medicamentose, tra le quali ricordiamo le proprietà antisettiche, drenanti, astrigenti, funghicide, rilassanti, tonificanti, stimolanti, galattogene, disintossicanti – che su quello sottile ed emozionale – l'o.e. comunica con gli organi attraverso la sua vibrazione e con la sfera emotiva interagendo col
senso più antico dell'uomo, l'olfatto.

IL MASSAGGIO AROMATERAPICO
E' UN GESTO D'AMORE CHE POSSIAMO CONCEDERCI
PER IMPARARE A SENTIRE L'UNITA' MENTE-CORPO-SPIRITO
ED INIZIARE IL NOSTRO PERCORSO VERSO LA SALUTE.

Riflessologia Plantare

La riflessologia plantare è una tecnica di massaggio manuale basata sul princìpio che sul piede si trovino i terminali nervosi di tutti gli apparati e gli organi del corpo.
Intervenendo sul piede con una tecnica di stimolazione di alcune zone (massaggio zonale) si va ad intervenire, per via riflessa, sull'apparato o sull'organo corrispondente a quella determinata zona.
Quali gli scopi di una tale tecnica?
Come tutte le pratiche di autocura e di medicina naturale di antica tradizione, anche la riflessologia considera lo squilibrio energetico come fonte prima di disarmonia, cioè malattia, patologia, dunque lo scopo primo è di ristabilire l'equilibrio energetico, l'armonia, il benessere.
Indispensabili al riequilibrio energetico sono lo SCARICO DI TENSIONE e lo SCARICO DI TOSSINE: la riflessologia agisce in questo senso, come tecnica antistress ed accelera l'eliminazione delle tossine, ripulendo l'organismo dall'inquinamento materiale e mentale, inoltre sviluppa una maggiore conoscenza e consapevolezza del proprio corpo e della propria psiche aiutando ad entrare in comunicazione con sé stessi, insegnando ad ascoltare il proprio io, il proprio essere interiore.

In sintesi gli scopi principali del massaggio riflessogeno plantare sono:

  • RIEQUILIBRIO ENERGETICO
  • EFFETTO ANTISTRESS
  • ELIMINAZIONE DELLE TOSSINE
  • AUMENTO DI CONOSCENZA E CONSAPEVOLEZZA RISPETTO AL PROPRIO CORPO E AL PROPRIO ESSERE INTERIORE
Per informazioni più dettagliate e trattamenti rivolgersi a:
Nicoletta Fabbi, Tel. 0564/939531, Cell. 3391660622.

venerdì 12 novembre 2010

Mantra-Nada Yoga

Il Nada Yoga, lo yoga del suono, è un aspetto dello yoga che utilizza il suono, i mantra e la musica al fine di raggiungere la meta dello yoga: l'integrazione della personalità, la ri-connessione con il Divino e la realizzazione spirituale. Alain Danielou definisce lo yoga "la scienza della reintegrazione totale". Lo yoga dunque è un'integrazione armoniosa di corpo, mente e spirito. Per conseguire questo obiettivo, lo yoga dispone di molte tecniche psicofisiche, tra cui quelle del Nada Yoga.

Prima di addentrarci nello specifico però è opportuno comprendere che lo yoga è soprattutto uno stile di vita, uno stato di coscienza proteso verso l'unità, l'armonia e l'equilibrio. Nella Bhagavad Gita, infatti, Sri Krishna spiega ad Arjuna:
"Lo yoga non è per chi mangia troppo o troppo poco; non è per chi dorme troppo o troppo poco; lo yoga è la condizione di chi è equilibrato nelle attività quotidiane, nel lavoro e nel riposo. Questo yoga distrugge i conflitti ed elimina la sofferenza".

Da questi insegnamenti si evince che lo yoga non può essere solamente un insieme di tecniche, pur raffinate che siano. Lo yoga dunque è l'espressione di un'attitudine interiore di equilibrio, di una consapevolezza che abbraccia l'universo intero nell'armonia. Le tecniche dello yoga, come il Nada Yoga, vanno perciò intese come uno strumento per ri-educare la mente e il corpo nel ritrovare la nostra attitudine interiore illuminata della pura consapevolezza.

Il Mantra Yoga

Il Mantra Yoga è "quel ramo dello Yoga che crea mutamenti nella conoscenza e nella materia per il tramite del suono e delle vibrazioni trascendentali" (Taimmi). Le sue origini sono antichissime: si tratta di tecniche che giungono a noi da più di cinquemila anni d’ininterrotta sperimentazione


Secondo i Veda, le fonti prime dello Yoga e di tutto il pensiero indiano, tramite la fusione del Nada Yoga con il Mantra Yoga è possibile avviare profondi processi di purificazione del corpo sottile e l’acquietamento della mente.

I suoni e le vibrazioni “altamente trascendentali” evocati dal Mantra Yoga conducono il praticante o l'ascoltatore verso un profondo stato di rilassamento e a quel contatto più intimo con il proprio Sé, che la tradizione Yogica indica come fonte primaria di saggezza e guarigione.
Yoga Nidra

Yoga Nidra


Che cosa è lo Yoga Nidra?

Quando si parla di yoga, si è solito pensare che riguardi qualcosa, dove bisogna mettersi in posture complesse.
Ma non è così, il termine yoga proviene dalla radice sanscrita yuj che significa “unione” o “vincolo” ed indica l’insieme delle tecniche che consentono il congiungimento del corpo, della mente e dell’anima con l’Universo.

Quindi lo Yoga Nidra, è una pratica yogica ma non ginnica, è una psicotecnica che agisce sulla psiche.
Letteralmente è tradotto come Yoga dei Sogni, ma è conosciuto come “Il sonno degli Yogi” però è più appropriato definirlo come “Sonno di meditazione”.

Lo Yoga Nidra un Sogno Controllato.

Lo yoga nidra, e’ uno stato indotto di completo rilassamento fisico, mentale ed emozionale, dove i sensi si ritirano e lo stato della tua coscienza è mantenuto a livelli profondi per tutta la durata della sessione.
Durante la pratica, sembra che si stia dormendo ma non è così, la coscienza continua ad essere vigile. La differenze e che quando dormiamo perdiamo traccia di noi stessi e quindi non possiamo utilizzare le capacità della nostra mente.
Con la psicotecnica dello yoga nidra manteniamo la consapevolezza di noi stessi, in questo stato di nutrizione psichica germogliano i semi della volontà, ci si sente inspirati da una coscienza superiore e acquistiamo vitalità.

Lo Yoga Nidra il vero Rilassamento

La maggior parte delle persone pensa che il rilassamento sia solo quando si va a dormire si chiudono gli occhi. Però se non si è liberi dalle tensioni muscolari, mentali ed emozionali, non si sarà mai rilassati. Questa è la ragione per cui capita di alzarsi alla mattina più stanchi di quando si è andati a letto. Lo stato di rilassamento totale, del corpo, della mente e dello spirito, lo si può ottenere solo con la psicotecnica dello yoga nidra.

Come si pratica lo Yoga Nidra

Quindi niente posture complicate, lo yoga nidra lo pratichi semplicemente da sdraiato, in un ambiente tranquillo, lontano dalle interferenze esterne che possono disturbare la pratica.
Poiché durante la pratica si ha un calo di temperatura è consigliato coprirsi con una copertina.
A questo punto devi solo ascoltare il Cd o l’Mp3 con la pratica registrata e lasciarti guidare dalle parole del istruttore.
In questa condizione la tua mente suggestionata è indotta in uno stato ipnagogico. Questo stato non è ipnotico perché il livello di coscienza è mantenuto attivo attraverso la pratica e il cervello rimane completamente sveglio.

Dharana

Dharana, dhyana e samadhi sono tre stadi intimamente legati che Patanjali definisce con un unico termine:  Samyama, perché i loro effetti non possono venire menzionati separatamente, essi fanno parte del processo meditativo che ci permette di avere accesso a una intelligenza più vasta e profonda per una conoscenza penetrativa della realtà, diversa da quella che ci possono offrire i nostri sensi e le nostre percezioni normali. 
Samyama è tradotto anche con il termine “convergenza”, infatti letteralmente vuol dire “azione di legare insieme”. Dharana e dhyana nella tradizione dello yoga definiscono alcuni stati della coscienza considerati superiori perché oltrepassano il livello razionale. Patanjali riserva un posto privilegiato a questa valorizzazione delle qualità sovra-razionali della mente umana, dato che ne fa lo scopo riconosciuto della pratica del raja-yoga. Dharana costituisce il primo risultato del pratyahara, la “ritrazione”: l’essere umano dopo essersi sottratto alla dispersione, si concentra su un solo oggetto imparando una prima forma di unità. 
Dharana, o arte di concentrare le energie coscienti  su un punto fisso, ha costituito una delle più grandi scoperte psicologiche dell’antico brahmanesimo e del buddhismo. Gli antichi saggi avevano  sperimentato in questo sforzo cosciente un’immensa potenzialità, non solo per giungere a modificare stati di coscienza, ma anche per risvegliare stati di pace, di gioia, di contentezza e di amore. Essi avevano scoperto che uno sforzo fisico e psichico, effettuato volontariamente, può far nascere dei doni spirituali. E’ questo il mistero della  meditazione. 
Il termine dharana è derivato dalla radice dhr, che significa “tenere”, “tenere insieme”, “sostenere”, su questa stessa radice si è formato il termine dharma, la legge del buon ordine universale. L’idea è quella di legare tutti gli elementi intorno a un punto centrale, in dharma il punto centrale è Brahman o Atman,  in  dharana è la capacità di una persona di mantenere il campo di coscienza attorno a un solo punto. 
Seguendo la via del Raja Yoga il processo meditativo si realizza quando  tutta l’energia della persona entra in un rapporto intenso, vivo e vibrante con l’oggetto della concentrazione. Il percorso che si fa è sempre quello di andare da una percezione più generale, più grossolana, a una più particolare, più sottile, è come stringere le maglie di una rete per vedere la situazione nei dettagli. 
L’assenza di perturbazioni provocate dai sensi, che abbiamo conquistato con pratyahara ci rende interiormente più centrati, più disponibili e  la mente diventa capace di  concentrazione. 
Dharana è tradotto abitualmente come concentrazione volontaria attiva su un oggetto, così infatti la definisce Patanjali. :  
L’attenzione è la localizzazione della mente” (Y.S.1,III°): 
La mente ha acquisito la capacità di mantenersi in un territorio circoscritto, privilegiato, con un livello molto alto di presenza, essere con ciò che siamo, con quello che stiamo facendo, è una richiesta d’essere in un determinato modo,  non si è più soggetti alla fluttuazione mentale, non c’è più dispersione, c’è come una stabilità di pienezza, mi sento uno con quello che sto facendo, non c’è più il problema della distrazione o non distrazione, non devo lottare per fare silenzio. 
Quindi possiamo affermare che dharana è il risultato degli anga precedenti che ci hanno portato a una qualità di presenza intensa, a una concentrazione di tutte le nostre facoltà su una realtà che è diventata nel nostro cammino di purificazione  uno spazio in cui riposare la mente; perché ciò si realizzi è estremamente importante aver curato al massimo una condizione di presenza interiore e di silenzio mentale in asana e pranayama.   
Afferma Vimala che in dharana l’intera coscienza è libera da tutto il movimento del passato, è purificata, stabile, focalizzata nello spazio interiore ed esteriore, avvolta dal vuoto e dalla pace, se questo stato viene mantenuto, allora la mente si sente unificata con il vuoto, con il silenzio, si sperimenta la meditazione: dhyana. 
Il commentatore di Patanjali, Vyasa, enumera i differenti luoghi,(desha) sui quali la mente può concentrarsi: l’ombelico, il loto del cuore, la luce nella testa, la punta del naso, la punta della lingua e alcuni altri dello stesso genere. 
Quindi dharana, come atto volontario di concentrazione, comprende molto varianti, infatti oltre a fissare la propria attenzione su un oggetto esterno  si può fissare su un punto interno del nostro corpo  seguendo la fisiologia del Tantra.   
 
Tecniche per dharana 
 
Gli yogi posteriori a Patanjali hanno indicato una serie di metodi per arrivare a uno stato di intensa concentrazione;  in particolare per le persone che trovano difficile restare in dharana senza un sostegno, si utilizzano dei supporti che possono essere  interni, esterni e intermedi. E’ sempre meglio scegliere i più semplici e neutri, non carichi di riferimenti culturali per favorire l’interruzione del discorso interiore. Gli esercizi preparatori di fissazione dello sguardo su un oggetto per sottrarre la mente dalla distrazione, chiamati trataka, sono molto utili per ottenere buone visualizzazioni. Per “visualizzazione” si deve intendere la facoltà di produrre nello spazio mentale un’immagine quasi fotografica e non il semplice mantenimento di un’idea sulla cosa o vaga immaginazione. 
La concentrazione su supporti interni si pratica di preferenza nell’oscurità e fa ricorso  alla visualizzazione e all’udito: tra i più noti: punti luminosi, centri sottili, ruote turbinanti, suono interiore, luminosità nella testa ecc. La concentrazione sul suono interno, nada, è ampiamente descritta nello Hathayoga-pradipika, mentre la fissazione sulla luminosità della testa viene menzionata negli Yoga sutra sotto il nome di taraka (Y.S.32-33, III°). Le concentrazioni sui centri sottili (chakra) o sulle linee di circolazione delle energie (nadi) appartengono al Kundalini yoga di tradizione tantrica.  
La concentrazione detta “esterna” è adatta a tutti, si pratica su oggetti lontani ed esterni: disco solare al tramonto o all’alba, luna piena, albero, roccia, montagna ecc. 
La concentrazione “intermedia” si ottiene tramite la persistenza visiva di un’immagine. Si tratta di fissare senza battere le palpebre  e fino a che sgorghino le lacrime un punto, un’immagine, uno yantra ecc. collocato davanti a una distanza conveniente e poi chiudere gli occhi lasciando permanere l’immagine residua il più a lungo possibile. Si procede quindi come per la concentrazione interna. 
Alcuni insegnanti suggeriscono di visualizzare qualcosa che ci è gradito, può essere un simbolo, un aspetto della natura in cui ci identifichiamo, uno yantra, un mandala che fa emergere dimensioni e potenzialità non conosciute, non manifeste. Si possono utilizzare questi metodi anche per potenziare la nostra attenzione e sviluppare poteri latenti  della mente con effetti totalmente estranei al cammino evolutivo. 
A questi esercizi si può aggiungere il controllo metodico del passaggio tra lo stato di veglia e quello di sonno, imparare a cogliere il vuoto che esiste nel passaggio. Questo addestramento ci porta progressivamente a cogliere gli intervalli che spesso passano inosservati: tra due periodi, di una sequenza, tra due pensieri, tra due respiri, tra due atti minimi o due sensazioni fuggevoli vi è sempre una pausa, un silenzio, un vuoto, un centro, là brilla la coscienza indifferenziata. 
Quello che è importante per Patanjali non è la tecnica o l’oggetto di concentrazione che si sceglie, ma il poter entrare in uno stato meditativo; l’oggetto scelto, infatti, non deve né ferire, né produrre agitazione e malessere. Comunque, qualunque esso sia,  si tratta sempre“di un viaggio verso l’interno”, di un tempo di unione all’oggetto e di un ritorno all’esterno. Abbiamo visto che la concentrazione si può fare su tantissimi punti, ciò che è essenziale è la sua qualità, l’intensità dell’esserci, perché il cuore della meditazione sta nel comprendere che tutte le tecniche sono solo dei mezzi per raggiungere una certa condizione che possiamo chiamare silenzio, centratura, visione profonda.”

Pranayama

Il Pranayama (controllo ritmico del respiro) è il quarto stadio dello Yoga, secondo lo Yogasutra di Patanjali. Insieme a Pratyahara (ritiro della mente dagli oggetti dei sensi), questi due stati dello Yoga sono conosciuti come le ricerche interiori (antaranga sadhana) ed insegnano come controllare la respirazione e la mente, quale mezzo per liberare i sensi dalla schiavitù degli oggetti di desiderio. La parola Pranayama è formata da Prana (fiato, respiro, vita, energia, forza) e da Ayama (lunghezza, controllo, espansione). Il suo significato è quindi di controllo ed estensione del respiro. Tale controllo si attua durante le classiche quattro fasi:
  • inspirazione (puraka)
  • espirazione (rechaka)
  • trattenimento del respiro (kumbhaka)
Nei testi di Hata Yoga, in generale il termine kumbhaka (da kumbha: brocca per acqua, calice) è usato per includere le tre fasi di inspirazione, espirazione e trattenimento del respiro. Quando il respiro viene trattenuto dopo una inspirazione, viene chiamato antara kumbhaka (interno, interiore). Quando viene trattenuto dopo una espirazione, viene chiamato bahya kumbhaka (esterno, esteriore). La scelta di giusti modelli ritmici della respirazione profondi e lenti, rafforzano il sistema respiratorio, calmano il sistema nervoso e riducono la bramosia. La mente si libera e diventa un mezzo adatto per la concentrazione. L'emotività influisce sul ritmo del respiro e lo trasforma in rapido, poco profondo e incontrollato. Il controllo del respiro permette il controllo della mente. Dato che lo scopo dello Yoga è calmare e controllare la mente, lo Yogi apprende la tecnica del Pranayama per dominare il respiro, in modo da controllare i sensi, raggiungere così lo stato di Pratyahara e predisporsi per dhyāna (meditazione).

Tipologia di respirazione

Il sistema respiratorio con evidenziato il diaframma

Nello yoga si distinguono tre tipologie di respirazione:
  • respirazione addominale : utilizza principalmente la parte inferiore dei polmoni. Durante la inspirazione, grazie alla funzione esercitata dal diaframma, l’addome si gonfia e si crea una depressione nella gabbia toracica: i polmoni si dilatano e l'aria penetra in profondità. Nell'espirazione il diaframma sale e crea un aumento di pressione nella gabbia toracica che tende a svuotare i polmoni. L'addome si sgonfia. La quantità di aria scambiata in una respirazione profonda addominale è massima. Questo tipo di respirazione permette dunque di ottenere una buona ossigenazione del sangue arterioso e crea una benefica pressione sugli organi interni, realizzando un massaggio continuo.
  • respirazione toracica : utilizza principalmente la parte centrale e superiore dei polmoni. Durante la inspirazione si effettua un allargamento delle costole mediante i muscoli intercostali. La cassa toracica si dilata ed espande i polmoni consentendo all'aria di penetrare. Durante l'espirazione i muscoli intercostali si contraggono diminuendo il volume toracico e spingendo l'aria fuori dal torace. La quantità di aria che penetra è inferiore a quella della respirazione addominale.
  • respirazione clavicolare : utilizza principalmente la parte superiore dei polmoni. L'aria entra nei polmoni mediante il movimento in alto delle clavicole e delle spalle. La quantità di aria che penetra nei polmoni è minima.

Principali Tecniche di Pranayama

L'addestramento del Pranayama necessita una profonda conoscenza delle asana e deve essere eseguito con la supervisione di un Guru o di un maestro esperto. Il momento migliore per la pratica del Pranayama è il mattino presto (prima dell'alba) e dopo il tramonto. Si consiglia di praticarlo almeno 15 minuti al giorno, con proposito e regolarità, alla stessa ora, luogo, posizione, seduti sul pavimento, su un piccolo cuscino o una coperta piegata, mantenendo la schiena eretta. Si dovranno tenere gli occhi chiusi, altrimenti la mente avrà facilità a distrarsi a causa degli oggetti esterni. L'uniformità della respirazione renderà la mente serena e calma. Il Pranayama dovrà essere eseguito non più di 15 minuti dopo una calma pratica di asana. Dopo aver terminato la pratica, stendersi in posizione Savasana per almeno 5 – 10 min, in completo rilassamento e silenzio, per rinfrescare sia il corpo che la mente.

Le principali tecniche di Pranayama sono le seguenti:
  • Ujjayi Pranayama
  • Bhastrika Pranayama
  • Kapalabhati, esercizi di espirazione forzata
  • Sama Vritti Pranayama
  • Visama Vrtti Pranayama

Hatha Yoga

Una postura dello Hatha Yoga: Parshvakonasana.

Lo Hatha Yoga è una forma di Yoga (uno dei sentieri che, presso la religione induista, portano all'unione con Dio) basato su una serie di esercizi psicofisici di origini antichissime, originati nelle scuole iniziatiche dell'India e del Tibet. È ad oggi molto praticato anche in occidente, in cui nella maggior parte dei casi è stato privato dei suoi significati spirituali e viene proposto come una mera forma di ginnastica esotica alternativa; questa "laicizzazione" ha fatto sì che molte persone, a prescindere dall'orientamento religioso, si avvicinassero – seppur in modo superficiale – a questa pratica, spesso erroneamente scambiata con lo Yoga nella sua totalità.
 

Caratteristiche

Lo Hatha Yoga insegna a dominare l'energia cosmica presente nell'uomo, manifesta come respiro, e quindi a conseguire un sicuro controllo della cosa più instabile e mobile che si possa immaginare, ossia la mente sempre irrequieta, sempre pronta a distrarsi e divagare.
In tal maniera lo yoga, influendo insieme sulla vita psichica e su quella fisica dell'individuo, che del resto pensa strettamente congiunte, si propone di compiere una revulsione immediata dal piano dell'esperienza quotidiana, umana e terrena e di attuare con grande prontezza il possesso della più alta beatitudine. Ecco perché lo Hatha Yoga è anche chiamato "la via celere".
Chi ne segue le regole non è più un uomo comune ma diventa un Siddha, cioè un uomo perfetto. Uno dei segni ch'egli è un uomo perfetto è appunto lo straordinario dominio sugli elementi, quale si mostra con la pratica del tummò, in virtù della quale l'asceta prova di poter cambiare per suo volere le condizioni stesse della vita.

Un'altra postura dello Hatha Yoga: Sarvangasana, la posizione "della candela".

Asana [modifica]

Gli Asana sono posture del corpo con le quali il praticante amplifica le caratteristiche e le attitudini mentali. Ogni postura fa confluire maggiore prana verso specifiche parti del corpo, irradiando le relative nadi ed i chakra interessati. Le posture, quindi, non sono soltanto complessi esercizi ginnici, bensì strumenti per incanalare l'energia nelle diverse parti del corpo. Perché la pratica di Asana venga eseguita correttamente è necessaria una giusta attitudine del praticante conforme alle otto membra descritte da Patanjali.